ALCUNE INTEVISTE online
L'Idea Magazine - periodico degli italiani in Usa ottobre 2022
intervista a cura di Marina Agostinacchio
Ida Travi La parola pronunciata
http://lideamagazine.com/ida-travi-la-parola-pronunciata/?fbclid=IwAR22LZVKro1P7ANiyBJGe73mCYCOSGQK-t4wkuQwQ3qiu839sYVjGYacdZM
Quando entrerà la verità
A cura di Anna Toscano | Società Italiana delle Letterate settembre 2022
Spotify
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Domande di Francesca Maffioli per https://femmespoetes.com/?page_id=395.
par Sorbonne /Paris8, par l’École Normale Supérieure (ULM), l’Université Paris 8 et l’Université Sorbonne Nouvelle
'Poésie hors du livre' - 11 mai, 14h30- 12 maggio 2021
Dal secolo opposto, intervista su 'Diotima e la suonatrice di flauto'
Ivana Margarese per Morel Voci dall'isola
Intervista a Ida Travi a cura di Alessia Bronico per Alma Poesia febbraio 2021
Il tempo dei Tolki intevista a cura di Ivana Margarese per L'isola di Morel nov. 2020
Diotima e la suonatrice di flauto intervista a cura di Ivana Margarese 2021
La poesia ti porta sempre da un'altra parte 2019 intevista a cura di Alessia Bronico per Inkroci, rivista di Letterature
Memoria e dimenticanza si saldano nella parola
a cura di Luigi Carotenuto
in L'Estroverso - 21 marzo 2016
Le maestre e i maestri indiretti a cura di Paolo Polvani
in Versante Ripido - 1 novembre 2014
edita integralmente in Poetica del basso continuo Moretti&Vitali2015
traduzione francese di Maria Rosaria Lasio
Nella povertà della parola a cura di Evanghelìa Polìmou
in Perigeion - 1 febbraio 2015
Cinque domande a cura di Alessandra Pigliaru
in poesia 2.0 agosto 2010
in La Dimora del tempo sospeso introd. di Francesco Marotta
Poesia con personaggi a cura di Marina Corona
in QUI LIBRI febbraio 2012
Intervista a cura di Luigi Bosco per Poesia2.0
http://www.poesia2punto0.com/2010/08/25/la-tazza-o-il-dischiudersi-delle-labbra-intervista-a-ida-travi/
La tazza o il dischiudersi delle labbra a cura di Antonio Loreto
in Anterem dicembre 2008
in Ambra Zorat
Poetesse Italiane Contemporanee
in Tesi di Laurea Maria Zanolli Università degli studi di Verona 200672007
Interviste radio
Radio Rai Tre Fahrenheit - intervista di Tommaso Giatosio su Tasàr animale sotto la neve marzo 2019
Radio Città del Capo Il Rubino a cura di Veronica Tinnirello maggio 2015
http://www.ilrubino.it/il-rubino-di-ida-travi/
Radio Svizzera Italiana (puntata 30') POEMONDO 25, dicembre 2010
Radio Tre Fahrenheit : Alcune letture dicembre 2014
Radio Tre Fahrenheit Marino Sinibaldi intervista Ida Travi A Più Libri, Più liberi dicembre 2008
Radio Tre Fahrenheit Giuseppe Antonelli intervista Ida Travi marzo 2009
Radio Tre Suite (30') Conversazione su 'La corsa dei fuochi' - 2 aprile 2007
Radio Tre Fahrenheit (in archivio )
Radio Rai Tre Chiodo Fisso
Radio Ca’ Foscari
http://www.radiocafoscari.it/2013/03/06/virgole-di-poesia-ospita-ida-travi/
Radiodramma intervista a cura di Elena Furio Radio Popolare
https://www.youtube.com/playlist?list=PL4BEEA42BE8B87E27
Radio Vaticana
http://it.radiovaticana.va/news/2013/02/09/i_poeti_sono_vivi/105-663489
Zapping (più letture in Archivio) 2009
Radio Alma Bruxelles 2009
http://radioalma.blogspot.com/2009_11_01_archive.html
Radio Popolare Verona
Intervista a cura di Cinzia Inguanta: Ida Travi Andrea Battistoni
http://www.youtube.com/watch?v=AmzQgqLy2yY
http://www.youtube.com/watch?v=B9uM7mx7knY
http://www.radiopopolareverona.it/index.php?module=Pagesetter&func=viewpub&tid=10&pid=17
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Dal passato: 2006/2007
In Tesi di Laurea di Maria Zanolli
Intervista a Ida Travi
‘Anterem - la poesia pensa’
Relatore prof Mario Allegri
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
Facoltà di Lettere e Filosofia
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
LAUREA SPECIALISTICA IN GIORNALISMO
Anno Accademico 2006/2007
Poetessa e scrittrice, Ida Travi è una voce importante della redazione di “Anterem”. Il percorso della sua scrittura s’intreccia in una magica alchimia di intenti e intuizioni, seppur mantenendo un singolarissimo tracciato, con l’itinerario della rivista, la ricerca della parola originaria, che nella Travi si esplica attraverso l’iterata riflessione, da cui nascono sempre nuovi spunti, sulla lingua materna. Uno studio che parte da molto lontano, dal luogo natale della redattrice, dalla campagna lombarda, dalla vita e dalle abitudini contadine, il ritmo della parola dialettale che si mischia alla terra, al sole e al gelo, alla sera e alle lunghe giornate invernali, quando la nebbia si abbassa sulla pianura e dalla finestra lo sguardo si ferma ad ascoltare il silenzio.
Nei suoi testi ritornano, come in una scatola cinese, temi, figure, oggetti, impressioni ed espressioni. Da dove è partita e verso quale orizzonte si dirige la sua riflessione?
È nata nella stalla, vicino alla mucca, tra gli animali, nella realtà contadina che mi porto dietro da quando sono venuta al mondo. La balia, quando ci accudiva e mi allattava. Mia madre, la sua voce, il dialetto, quella parola così rassicurante e piena di vita, la cantilena che mi faceva addormentare di sera. I paesaggi, le notti gelide e la mattina presto, quando gli operai o i contadini si lavavano in una vasca d’acqua fumante. Il fumo si univa alla nebbia e guardavo quegli uomini a petto nudo, vigorosi e robusti, che si preparavano per la lunga giornata. C’è molto di tutto questo nei miei scritti, anche perché da una quindicina d’anni ho fatto una scelta: di non appoggiarmi più alla teoria o ad altri riferimenti, di tirar fuori quello che ho dentro, di partire da me. 102 È un distacco, quindi, quello che ha compiuto, come il titolo di un suo libro? Esattamente: il distacco dall’opera stessa, dal mito, dalla teoria come sostituzione dell’esperienza. In questo, forse, sono un po’ eccentrica. Mi piacciono gli spazi vuoti che stanno tra le parole. E poi, di certo, l’aspetto orale della scrittura. Si torna sempre alle origini. Ed è un peccato perché oggi, invece, si è persa l’oralità.
In O Cari si parla di una forma letteraria, la prosa-poetica, che caratterizza particolarmente – e in modo molto intenso e penetrante – il suo stile. Cosa può dire di questa forma “a cavallo tra i generi”?
La mia ricerca è iniziata dalla prosa con un libro che s’intitola Vienna, tre poesie musicate e cantate tratte dal Canto del moribondo neonato che è stato messo in scena al Teatro Romano dalla splendida voce di Antonella Ruggero. Il moribondo e il neonato sono i due punti estremi dell’esistenza, allo stesso tempo i più intensi e i più fragili. Un cerchio che non si chiude mai, che rimane aperto. E poi c’è la donna, la madre, il rapporto materno. L’unica relazione asimmetrica, costituita da una persona grande e potente che decide l’esistenza di una creatura impotente e fragile, caratterizzata dalla pietas, dall’amore disinteressato, e non dall’interesse sull’altro, dall’uso della superiorità come mezzo per sottomettere. Anche nello schema della scrittura c‘è una volontà di lasciare aperto, di non chiudere il discorso.
Dalla poesia alla prosa, ma anche al teatro alla voce. Lei preferisce le comparse, è d’accordo?
Sì, probabilmente si riferisce alla suonatrice di flauto di Diotima. Anche Platone, anche la storia della filosofia mette fuori dalla sua stanza la donna. Io credo ci sia la necessità di una presenza femminile. Gli uomini si nutrono della sapienza femminile e poi si dimenticano la fonte da cui hanno bevuto.
A questo proposito volevo chiederle – conflitto di interessi a parte – se lo sguardo di una donna in poesia, i suoi timbri, il suo tratto, si differenzino dalla visione maschile e se abbiano una più efficace capacità di scolpire la parola e il mondo?
Assolutamente sì. Noi siamo state definite “il secondo genere”. Ecco, allora bisogna mantenerla questa differenza con la cultura maschile. Bisogna far venir fuori quello che c’è, partire da sé. Io ho avuto tanto amore per la letteratura maschile, ma a un certo punto ho preso una posizione. E poi, parliamoci chiaro, l’uomo da quando nasce vive il rapporto con la madre e fa paura il peso della mamma. Per secoli le figlie le hanno odiate e forse oggi, grazie ai movimenti degli anni Sessanta, forse qualcosa sta tornando, si può fare qualcosa. Nella nota conclusiva di un mio libro, L’aspetto orale della poesia, si parla di questo, di non avere un rapporto di sudditanza, di far emergere la differenza.
Tornando al discorso sulla prosa-poesia, perché nei suoi scritti c’è una fusione così accentuata, quasi simbiotica?
Ma pensi ad Omero, alla narrazione di storie tramandate con la parola, all’oralità. Per ricordare, s’imparavano a memoria, e si raccontavano, si cantavano. Prosa e poesia erano la stessa cosa. La separazione è stata fatta col tempo.
E la filosofia? In chi si ritrova, in particolare?
Sicuramente, in tutta la filosofia antica. E poi, di certo, Heidegger, Block e i “piccoli sogni diurni”. Ultimamente, ho letto una recensione dove si dice che i miei lavori sembrano essere scritti nel sonno. Il sonno e il sogno, la mia poesia è anche questo, un fluire continuo, un dormiveglia, la luce e il buio.
Allora quali sono le poetesse che ha letto di più?
Tutta la poesia femminile, Emily Dickinson, la Zambrano, Simon Weil.
Il suo ultimissimo scritto su “Anterem” 73 è legato alla tematica definita “l’esperienza della percezione”, un quadro che si smonta e si ricompone, che parla del tempo, della memoria e ad un certo punto sembra quasi di assistere alle prove di un film il cui regista è forse il bambino cresciuto protagonista della storia. Come è nato questo scritto, come, in generale, si scrive per “Anterem”?
È stato estratto da un romanzo breve che s’intitola Tu sei soltanto in allarme. Ci sono tutti i miei temi più cari, c’è l’idea del fluire, il passato, la madre e il bambino. Spesso la mia scrittura sconfina fuori da sé, nel teatro, tra la poesia e la prosa, e lei ora ha parlato di cinema. Sì, può essere. Quando si scrive per “Anterem” si parte sempre da un tema, si discute una tematica, e poi c’è l’ intento di tenere alto il tono degli interventi, anche nella scelta dei collaboratori.
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